Breve corso di storia della Chiesa
III E IV SECOLO NELLA STORIA DELLA CHIESA (2)
La svolta costantiniana
Costantino era figlio di Costanzo Cloro e di Elena, cristiana. Il suo biografo più importante è Eusebio di Cesarea, vescovo e primo grande storico della Chiesa. La notte precedente la battaglia decisiva contro Massenzio sostenuta alle porte di Roma, Costantino avrebbe avuto la visione secondo cui, col monogramma di Cristo sugli scudi, avrebbe vinto. A Roma Costantino si trattenne poco, raggiunse Milano dove promulgò il noto editto di tolleranza, già emanato per l’oriente. Il cristianesimo divenne religio licita nell’impero, si ordinava la restituzione delle proprietà confiscate alle comunità cristiane, ricevendo indennizzi per quelle che non erano recuperabili. Perciò Costantino fece costruire le basiliche di San Giovanni, di San Pietro, di San Paolo Fuori le Mura e dei Santi Apostoli. A Gerusalemme, la madre Elena fece costruire la chiesa del Santo Sepolcro, dopo aver effettuato gli scavi che permisero di rinvenire la vera Croce di Cristo, coi chiodi e il titulus apposto sulla Croce. Costantino ricevette il battesimo appena una settimana prima di morire, nel 337, ma fece approvare molte misure favorevoli ai cristiani: la domenica era dichiarata giorno di chiusura dei tribunali; i vescovi e i presbiteri erano esentati dalle tasse. Tuttavia l’imperatore esigeva che il cristianesimo divenisse funzionale allo Stato. Quando Costantino si accorse che in seno al cristianesimo insorgevano conflitti che ne minacciavano l’unità, fece convocare ad Arles un concilio di vescovi africani per far rientrare lo scisma di Donato vescovo di Cartagine, il quale asseriva che i sacramenti impartiti da sacerdoti apostati non erano validi. Costantino non ebbe successo perché i donatisti rimasero fuori della Chiesa per circa un secolo.
Il concilio di Nicea
Nel 325 fu Costantino a convocare e presiedere il concilio di Nicea, il primo ecumenico, perché la Chiesa ritrovasse l’unità dottrinale. L’imperatore si era accorto che le due province fondamentali per l’impero, l’Egitto e la Siria, erano attraversate da un tenace separatismo copto e aramaico, ostili nei confronti del centralismo statale i cui benefici apparivano molto inferiori alle tasse che erano estorte a quelle popolazioni. L’unità della Chiesa era importante per Costantino perché favoriva l’unità dello Stato. Al concilio celebrato a Nicea trionfò la dottrina elaborata da Atanasio di Alessandria, affermante che il Padre e il Figlio sono consustanziali. Ario, al contrario, sosteneva che il Figlio era inferiore al Padre, anzi che c’era stato un tempo in cui il Figlio non era, ossia che era solamente un uomo. I voti favorevoli all’eresia furono pochissimi e Ario fu esiliato, ma pochi anni dopo le tesi di Ario furono sostenute da alcuni vescovi politicanti come Eusebio di Nicomedia, divenuto nel frattempo consigliere di Costantino per gli affari religiosi.
Il monachesimo
Atanasio, divenuto vescovo di Alessandria, fu allontanato cinque volte dalla sua diocesi e sostituito da vescovi di orientamento ariano. In diverse occasioni trovò rifugio tra i monaci che in numero elevato si erano diffusi nella zona del delta del Nilo e a est del fiume nella regione chiamata Tebaide. Il fenomeno del monachesimo, facilitato dal clima egiziano, era iniziato verso la metà del III secolo con Antonio e Pacomio. Il primo, rimasto orfano con una sorella, aveva una buona situazione patrimoniale. Decise di assicurare alla sorella un vitalizio, poi vendette il resto distribuendo il ricavato ai poveri. Infine si ritirò in una caserma abbandonata seguendo un maestro e da ultimo affrontò la solitudine più completa, coltivando qualche ortaggio per vivere. Il suo esempio fu seguito da una schiera crescente di persone attirate dall’eroismo della sua vita penitente. Il movimento eremitico, pur avendo radice in tante altre religioni, assume un peso particolare nel cristianesimo dopo la fine delle persecuzioni, perché era un modo di affrontare un costante martirio, tenendo sempre in vista le realtà ultime, ossia il giudizio, la morte, l’inferno e il paradiso. Il vero e proprio entusiasmo per la vita eremitica nasconde tuttavia un aspetto tragico, ossia la sfiducia verso il futuro che appariva oscuro. Era molto diffusa la sensazione di vivere in un mondo invecchiato e non era difficile immaginare, con lo storico Tacito, chi sarebbero stati i futuri dominatori dell’Impero. Nel monachesimo c’è anche un elemento non risolto, ossia l’incomprensione per la bellezza di questo mondo che occorre comprendere e ricondurre a Dio e non solamente rifiutare come occasione che fa deviare dal retto cammino. L’eccezionale severità della vita eremitica indusse Pacomio, un egiziano al pari di Antonio, a scegliere la via del cenobitismo, ossia la vita all’interno di comunità operose che praticassero l’ospitalità e l’elemosina, senza che alcuno potesse distinguersi dagli altri per singolarità di comportamento. Nelle prime comunità di anacoreti non c’erano presbiteri e i monaci apparivano abbastanza ignoranti, avendo la persuasione che anche il sapere produce una specie di ricchezza da cui occorre distaccarsi. Più tardi ci furono anche i presbiteri nelle comunità monastiche, anzi, nelle diocesi orientali, si cominciò a cercare vescovi precisamente tra le comunità di monaci.
(segue)
La svolta costantiniana
Costantino era figlio di Costanzo Cloro e di Elena, cristiana. Il suo biografo più importante è Eusebio di Cesarea, vescovo e primo grande storico della Chiesa. La notte precedente la battaglia decisiva contro Massenzio sostenuta alle porte di Roma, Costantino avrebbe avuto la visione secondo cui, col monogramma di Cristo sugli scudi, avrebbe vinto. A Roma Costantino si trattenne poco, raggiunse Milano dove promulgò il noto editto di tolleranza, già emanato per l’oriente. Il cristianesimo divenne religio licita nell’impero, si ordinava la restituzione delle proprietà confiscate alle comunità cristiane, ricevendo indennizzi per quelle che non erano recuperabili. Perciò Costantino fece costruire le basiliche di San Giovanni, di San Pietro, di San Paolo Fuori le Mura e dei Santi Apostoli. A Gerusalemme, la madre Elena fece costruire la chiesa del Santo Sepolcro, dopo aver effettuato gli scavi che permisero di rinvenire la vera Croce di Cristo, coi chiodi e il titulus apposto sulla Croce. Costantino ricevette il battesimo appena una settimana prima di morire, nel 337, ma fece approvare molte misure favorevoli ai cristiani: la domenica era dichiarata giorno di chiusura dei tribunali; i vescovi e i presbiteri erano esentati dalle tasse. Tuttavia l’imperatore esigeva che il cristianesimo divenisse funzionale allo Stato. Quando Costantino si accorse che in seno al cristianesimo insorgevano conflitti che ne minacciavano l’unità, fece convocare ad Arles un concilio di vescovi africani per far rientrare lo scisma di Donato vescovo di Cartagine, il quale asseriva che i sacramenti impartiti da sacerdoti apostati non erano validi. Costantino non ebbe successo perché i donatisti rimasero fuori della Chiesa per circa un secolo.
Il concilio di Nicea
Nel 325 fu Costantino a convocare e presiedere il concilio di Nicea, il primo ecumenico, perché la Chiesa ritrovasse l’unità dottrinale. L’imperatore si era accorto che le due province fondamentali per l’impero, l’Egitto e la Siria, erano attraversate da un tenace separatismo copto e aramaico, ostili nei confronti del centralismo statale i cui benefici apparivano molto inferiori alle tasse che erano estorte a quelle popolazioni. L’unità della Chiesa era importante per Costantino perché favoriva l’unità dello Stato. Al concilio celebrato a Nicea trionfò la dottrina elaborata da Atanasio di Alessandria, affermante che il Padre e il Figlio sono consustanziali. Ario, al contrario, sosteneva che il Figlio era inferiore al Padre, anzi che c’era stato un tempo in cui il Figlio non era, ossia che era solamente un uomo. I voti favorevoli all’eresia furono pochissimi e Ario fu esiliato, ma pochi anni dopo le tesi di Ario furono sostenute da alcuni vescovi politicanti come Eusebio di Nicomedia, divenuto nel frattempo consigliere di Costantino per gli affari religiosi.
Il monachesimo
Atanasio, divenuto vescovo di Alessandria, fu allontanato cinque volte dalla sua diocesi e sostituito da vescovi di orientamento ariano. In diverse occasioni trovò rifugio tra i monaci che in numero elevato si erano diffusi nella zona del delta del Nilo e a est del fiume nella regione chiamata Tebaide. Il fenomeno del monachesimo, facilitato dal clima egiziano, era iniziato verso la metà del III secolo con Antonio e Pacomio. Il primo, rimasto orfano con una sorella, aveva una buona situazione patrimoniale. Decise di assicurare alla sorella un vitalizio, poi vendette il resto distribuendo il ricavato ai poveri. Infine si ritirò in una caserma abbandonata seguendo un maestro e da ultimo affrontò la solitudine più completa, coltivando qualche ortaggio per vivere. Il suo esempio fu seguito da una schiera crescente di persone attirate dall’eroismo della sua vita penitente. Il movimento eremitico, pur avendo radice in tante altre religioni, assume un peso particolare nel cristianesimo dopo la fine delle persecuzioni, perché era un modo di affrontare un costante martirio, tenendo sempre in vista le realtà ultime, ossia il giudizio, la morte, l’inferno e il paradiso. Il vero e proprio entusiasmo per la vita eremitica nasconde tuttavia un aspetto tragico, ossia la sfiducia verso il futuro che appariva oscuro. Era molto diffusa la sensazione di vivere in un mondo invecchiato e non era difficile immaginare, con lo storico Tacito, chi sarebbero stati i futuri dominatori dell’Impero. Nel monachesimo c’è anche un elemento non risolto, ossia l’incomprensione per la bellezza di questo mondo che occorre comprendere e ricondurre a Dio e non solamente rifiutare come occasione che fa deviare dal retto cammino. L’eccezionale severità della vita eremitica indusse Pacomio, un egiziano al pari di Antonio, a scegliere la via del cenobitismo, ossia la vita all’interno di comunità operose che praticassero l’ospitalità e l’elemosina, senza che alcuno potesse distinguersi dagli altri per singolarità di comportamento. Nelle prime comunità di anacoreti non c’erano presbiteri e i monaci apparivano abbastanza ignoranti, avendo la persuasione che anche il sapere produce una specie di ricchezza da cui occorre distaccarsi. Più tardi ci furono anche i presbiteri nelle comunità monastiche, anzi, nelle diocesi orientali, si cominciò a cercare vescovi precisamente tra le comunità di monaci.
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