Breve Corso di Storia della Chiesa

V E VI SECOLO NELLA STORIA DELLA CHIESA (1)

La grande spinta del IV secolo, dopo che il cristianesimo divenne religio licita all’interno dell’impero, durò fino alla metà del V secolo, fino al Concilio di Calcedonia del 451 che in larga misura esaurì l’elaborazione teologica dei due principali temi della teologia cattolica, ossia le dottrine trinitaria e cristologica.

Il Concilio di Efeso Nestorio vescovo di Costantinopoli, ma discepolo della scuola di Antiochia per quanto riguarda la formazione teologica, reagì violentemente nei confronti del termine “Theotokos” (Madre di Dio) applicato alla Madonna. Quel termine era in uso da molto tempo e non aveva mai sollevato polemiche. Nestorio si dichiarò disponibile ad accettare il termine “Christotokos” (Madre di Cristo), un’affermazione grave perché si poteva interpretare come separazione tra le due nature, umana e divina, in Cristo. Cirillo, vescovo di Alessandria, guidò una campagna molto dura contro Nestorio e perciò l’imperatore Teodosio II convocò il Concilio a Efeso per dirimere la controversia. I lavori non ebbero un andamento regolare, non furono attesi tutti coloro che avevano diritto a prendervi parte e i problemi più importanti furono risolti in una sola giornata, mentre la folla rumoreggiava, perché rifiutava perfino l’idea che si potesse negare alla Madonna l’appellativo di Madre di Dio. Nel corso dei due anni successivi fu raggiunto un difficile accordo tra le due grandi tradizioni teologiche di Alessandria e di Antiochia che avevano la tendenza a divaricare tra loro.

Il Concilio di Calcedonia Vent’anni dopo Efeso, a Costantinopoli si accese una nuova discussione suscitata dal monaco Eutiche, molto noto per santità di vita, ma non altrettanto provveduto di attitudini speculative. Questi sosteneva l’esistenza di due nature in Cristo, umana e divina, ma affermava anche che la natura umana, del tutto sproporzionata rispetto a quella divina, si stemperava fin quasi ad esser assorbita da quella divina: era l’eresia che verrà chiamata monofisita, ossia che conta solamente la natura divina in Cristo. Anche questa discussione risultò turbata dalla folla e da una specie di colpo di mano operato dal vescovo di Alessandria Dioscoro che, oltrepassando le sue competenze, depose Flaviano vescovo di Costantinopoli. Questi sono gli antefatti del Concilio di Calcedonia, convocato dall’imperatore Marciano passando sopra al fatto che il papa Leone I aveva promulgato una lettera dogmatica diretta a Flaviano che risolveva il conflitto insorto in oriente. La convocazione del Concilio permetteva a Marciano di ribadire l’autorità imperiale sulla Chiesa e soprattutto gli permise di far approvare un canone che poneva la Chiesa di Costantinopoli, fin allora priva di autorevolezza perché non aveva fondazione apostolica, in una posizione di preminenza rispetto ai più autorevoli patriarcati di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, ed equipollente rispetto a Roma, patriarcato dell’occidente. Il Tomo a Flaviano del papa Leone I fu accettato dopo un lungo esame e poi fu approvato il Canone XXVIII con grave disappunto delle Chiese più antiche, mentre il vescovo Dioscoro fu deposto dalla carica, offendendo la suscettibilità delle Chiese d’oriente che accentuarono il loro tendenziale separatismo.

Le invasioni barbariche in occidente A partire dall’anno del Concilio di Calcedonia la situazione politica in occidente precipita. La grande invasione di Attila e degli Unni in occidente è respinta da Ezio, ma solamente a gran fatica e con l’aiuto determinante dei Visigoti. L’anno dopo Attila attaccò l’Italia settentrionale e solamente l’intervento del papa Leone Magno a Mantova riuscì a stornare il pericolo unno. La dipendenza dai soldati barbari divenne estrema. In oriente, al contrario, a partire da quella stessa data avvenne l’emancipazione dalla dipendenza da eserciti germanici, perché furono preferiti i montanari dell’Isauria che non erano estranei all’impero. La debolezza dell’occidente attirava su di sé le popolazioni germaniche ancora in movimento. Gli imperatori furono fatti e disfatti dai capi militari finché, nel 476, si rinunciò alla finzione d’aver un imperatore d’occidente. Rimaneva Odoacre come patricius, ovvero comandante in nome dell’imperatore d’oriente. Qualche anno dopo arrivò in Italia un intelligente capo barbaro, Teodorico l’Amalo, comandante degli Ostrogoti, spedito in occidente dai bizantini per liberarsi della sua presenza pericolosa. Costui dopo una lunga campagna militare sconfisse Odoacre e l’uccise. Pose la capitale in Ravenna e iniziò una brillante politica volta a radunare tutti i regni romano-barbarici di fede ariana in una specie di confederazione guidata dagli Ostrogoti. Questa politica ebbe successo finché a Costantinopoli trionfò una specie di secessione che va sotto il nome di scisma di Acacio, durato una quarantina d’anni (484-519), ma quando andò al potere l’imperatore Giustino, deciso a tornare in comunione col papa, la nuova politica orientale, che chiaramente mirava a riprendere il controllo politico dell’occidente, si scontrò con i progetti di Teodorico. Nel conflitto ebbe la peggio il papa Giovanni I, inviato a Costantinopoli e tornato senza un accordo con gli ariani Ostrogoti.


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