Joseph Ratzinger (n. 1927), Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione, da Wer ist das eigentlich - Gott? (1969)

Quando Charles Darwin a metà del secolo scorso sviluppò l'idea dell'evoluzione di tutto il vivente e con essa mise radicalmente in discussione la tradizionale rappresentazione della costanza delle specie create da Dio, scatenò una rivoluzione dell'immagine del mondo non inferiore a quella che per noi si lega al nome di Copernico. Nonostante la svolta copernicana, che detronizzò la Terra e allargò le dimensioni dell'universo sempre più verso l'infinito, rimase valido nel complesso il quadro consolidato della vecchia immagine del mondo, che si manteneva inalterato a partire dalla limitazione temporale ai seimila anni calcolati in base alla cronologia biblica. Un paio di accenni possono illustrarci la naturalezza oggi a malapena ancora immaginabile con cui allora ci si atteneva all'angusto quadro temporale dell'immagine biblica del mondo.

Quando Jacob Grimm pubblicò la sua "Storia della lingua tedesca" nel 1848, che l'età dell'umanità fosse di seimila anni era per lui una premessa indiscussa, che non aveva bisogno di alcuna riflessione. La stessa cosa esprime con grande naturalezza W. Wachsmuth nella sua apprezzata "Storia generale della cultura", comparsa nel 1850, che non si differenzia in nulla dalla storia generale del mondo e dei popoli che Christian Daniel Beck aveva pubblicato in seconda edizione nel 1813. E si potrebbero fare facilmente molti altri esempi. Sarebbero sufficienti a dimostrare in quale angusto orizzonte si muoveva da centinaia d'anni la nostra immagine della storia e del mondo, quanto restasse salda la tradizione presa dalla Bibbia di un pensiero interamente disegnato sulla base della storia della salvezza giudaico-cristiana, quale rivoluzione dovesse rappresentare il fatto che, dopo l'estensione all'infinito dello spazio, un uguale ampliamento si impadronisse del tempo e della storia. Per molti aspetti le conseguenze di tale processo sono addirittura più drammatiche di quanto potessero esserlo quelle della svolta copernicana. Poiché la dimensione del tempo tocca l'uomo incomparabilmente più nel profondo di quella dello spazio, la rappresentazione dello spazio viene a sua volta relativizzata, nella misura in cui lo spazio perde la sua forma definibile stabilmente e viene sottomesso alla storia e alla contingenza. L'uomo appare come l'essere in perenne trasformazione, le grandi costanti dell'immagine biblica del mondo, principio e fine, scivolano nell'indeterminato. La comprensione di fondo del reale cambia: il divenire al posto dell'essere, lo sviluppo al posto della creazione, l'ascesa al posto del declino.

Nell'ambito di queste riflessioni non si può percorrere l'intero complesso di questioni che si è aperto con esse; vogliamo soltanto discutere il problema se le concezioni di fondo, creazione e sviluppo, contrariamente alla prima impressione, possano coesistere senza che per questo il teologo accetti un compromesso disonesto e per ragioni tattiche dichiari inutile il terreno divenuto indifendibile, dopo averlo presentato con convinzione fino a poco prima come parte indispensabile della fede.

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