PAPA E VESCOVI IN DISACCORDO?

Chiese chiuse, chiese aperte. Il dibattito continua.
Dopo la netta presa di posizione della CEI, che dopo lunghe trattative con il governo, sperava che nel nuovo decreto, ci sarebbe stata una apertura sulla possibilità di riprendere le celebrazioni domenicali, nel rispetto delle norme di prudenza, si è di nuovo riaccesa la polemica.
Volano paroloni e sembra di essere tornati al tempo dei guelfi e dei ghibellini. Gli animi si sono scaldati e si è creata un po’ di divisione, anche tra i cattolici.
Può essere utile un breve “status questionis”. Di cosa stiamo parlando e quale è il problema?
La Conferenza Episcopale, in piena sintonia con Papa Francesco, fin dall’inizio della “quarantena”, aveva abbracciato la linea dura del governo italiano, che tra molte altre restrizioni, di tutti i tipi ed in ogni campo, sport, lavoro, turismo, attività economiche, aveva vietato, per motivi di sicurezza sanitaria, le Messe e i funerali e ogni altro tipo di funzione religiosa, che comportasse “assembramenti di folla”.
Ovviamente si è trattato di restrizioni molto dolorose per tutti, non poter lavorare, non poter muoversi, lo stravolgimento dell’organizzazione familiare, ecc.., per i cattolici, e penso anche per i credenti di altre religioni, le restrizioni riguardanti il culto, hanno costituito un ulteriore peso. In particolare l’impossibilità di assistere alla Messa domenicale.
Il Papa, con i vescovi, pur accettando queste restrizioni e invitando al loro rispetto, per contenere il contagio, non è rimasto indifferente alle difficoltà e alla sofferenza dei fedeli.
In questa linea, un suo primo intervento si registrò durante l’omelia a Santa Marta del 13 marzo, esponendo una sua riflessione, con un velato riferimento alla chiusura delle chiese, con la frase diventata famosa:
“Le misure drastiche non sempre sono buone.”
Il Papa prima di iniziare l’omelia vera e propria, esprimeva le sue intenzioni di preghiera e quel giorno una era questa: “E vorrei anche pregare oggi per i pastori, che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore dia loro la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare.”
La CEI, con tutti i vescovi, aveva attuato una vera e propria serrata. Tutte le chiese chiuse, sbarrate.
L’intervento del Papa, contribuì a far ripensare quella decisione, forse eccessivamente prudente e sicuramente un po’ deprimente. E le chiese tornarono ad essere aperte anche se con alcune limitazioni.
Un altro gesto fu compiuto il 15 marzo, con la visita “solitaria” a san Marcello e a Santa Maria Maggiore per pregare sulla fine della “pandemia”. Gesto accolto e apprezzato in modo positivo da quasi tutti i settori della società civile.
 Poi ci fu la Messa, solitaria nel vuoto di piazza san Pietro, del 27 marzo, che diede slancio e incoraggiamento a tutti e così le funzioni della settimana, con la bellissima Via Crucis seguita da milioni di persone.
Arriviamo così al 17 aprile scorso, a santa Marta. Nella meditazione della Messa commentando il Vangelo del giorno in cui si narrava di una delle tante apparizioni del risorto, sul lago di Tiberiade, il Papa commentava che, inizialmente non riconosciuto, Gesù si manifestò dopo la Pesca miracolosa. E tutto, nella descrizione di quell’incontro, il cibo sul fuoco, l’invito a mangiare, i gesti di saluto, il colloquio con Pietro, esprimeva “familiarità” e proseguiva:
«Questa familiarità con il Signore, dei cristiani, è sempre comunitaria. Sì, è intima, è personale ma in comunità. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa. Può diventare una familiarità – diciamo – gnostica, una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il Pane.
Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.
Lui (si riferisce ad un vescovo che gli aveva scritto) mi diceva: “Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo.»
Sono parole che definiscono il problema “teologico/pastorale”, che la “quarantena” ci sta creando. Il problema vero. Dimenticare cosa è la Chiesa, e cosa è essere “Chiesa”. Il Papa non faceva pressione in nessun senso. Esprimeva quella che era una sua preoccupazione. Una riflessione che anche noi dobbiamo tener presente, non solo preoccuparmi se le chiese rimangano chiuse o se riaprono. Ma come è la mia fede, solo comunitaria, solo “esteriore, sociale”, o è anche “personale”, con un mio rapporto “a tu per tu con Gesù”. Tutte e due, diceva il Papa: personale e comunitaria. La Chiesa è insieme una realtà “invisibile”, “profetica, spirituale, a-storica”, e “visibile”, cioè storica, immersa nel tempo, che può “passare”, cambiare, ma non esiste “solo una Chiesa invisibile”, senza “Popolo”, senza “segni”, senza “familiarità”. Può esser nascosta, come nei primi secoli, ma non incorporea, astratta, simbolica. E’ una Chiesa viva, che rende “visibile” il Regno di Dio.
Dopo queste parole del Papa, i Vescovi italiani, si sono mossi, con l’obbiettivo, all’inizio della fase due, di ottenere qualche concessione, circa la celebrazione dei funerali e delle Messe domenicali. Aspettative legittime e condivisibili.
Così non è stato, o lo è stato solo in parte.
L’intempestiva pubblicazione del Comunicato da parte di un Ufficio della CEI, che stigmatizzava il comportamento del governo Italiano, ha riacceso le polemiche che rischiano di c­­onfondere il piano “politico/amministrativo”, con quello “teologico/Pastorale”.
Il Papa, ha invitato alla prudenza e ad obbedire alle disposizioni. Questo invito del Papa, da molti è stato visto come una smentita all’operato dei Vescovi. A me non sembra. Nella sostanza.
Ci troviamo nel campo delle opinioni, non delle verità assoluta. Che i vescovi e una parte dei cattolici premano per vedere garantiti certe libertà, è un loro diritto. che altri ritengano invece che non c’è fretta, che si può aspettare, è pure una posizione accettabile.
Qualcuno ha detto che più che un problema tra CEI e Governo, è un problema tra Comitato Scientifico e gli esperti della CEI.
In definitiva è un problema tecnico (se e quando permettere celebrazioni pubbliche).
Viene limitata la libertà per motivi di sicurezza, così dice il Comitato Scientifico. Occorrerebbe, nel caso specifico, dimostrare che non è così.
Ma comunque nella misura in cui progressivamente si andrà verso la normalità, ogni remora e restrizione cadrà da sola. Non c’è una verità assoluta, ci sono punti di vista diversi, e una valutazione dei tempi diversa, che convergeranno progressivamente. E’ questione di tempo, di settimane.
Quello però che qualcuno ha confuso, pensando di difendere la posizione del Papa, è giustificare sul piano “teolgico/pastorale” la chiusura delle Chiese, che sarebbe una cosa quasi da auspicare, perché è più conforme alla vera fede.
Una cosa sono le questioni di ordine pubblico e le scelte politiche, e su questo, con buon senso, dobbiamo saper obbedire ed essere prudenti, ricordandoci, che ci sono doveri e diritti. In una società democratica il governo può obbligare con la forza, cosa che sta facendo, a comportamenti limitativi di alcuni diritti, ma questi diritti rimangono e i cittadini, hanno la garanzia di poter reclamare, trattare, far valere i loro punti di vista, fare pressioni, ecc. perché vengano ripristinati.
Ognuno deve sentirsi libero e responsabile, nelle questioni “secolari”, decidendo in coscienza, avendo però cura di formare bene la propria coscienza, ascoltando anche le parole dei Pastori.
Sul piamo invece teologico e pastorale rimangono valide le considerazioni del Papa, rapporto personale con Dio, ma anche “familiarità”, “visibilità”, che però assumerà le forme che le circostanze attuali consentono. In tanti periodi storiche la “Comunità cristiana”, è apparentemente scomparsa, ma sussisteva, “nelle catacombe”, nell’intimità delle famiglie, nella clandestinità, nel cuore e nell’esempio, dei martiri, ecc. Anche in epoche recenti, abbiamo visto “sparire la Chiesa”, pensiamo ai paesi sotto regimi dittatoriali nel secolo scorso, ma poi “ricomparire”.
Non è questa la nostra situazione, ma se cerchiamo di più l’Amicizia con il Signore e alimentiamo, come possiamo, le virtù teologali, anche aspettare, alcune settimane ancora, non solo non sarà dannoso, ma ci aiuterà a purificare e maturare la nostra fede.

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