BUON NATALE 2023. TANTISSIMI AUGURI.



         Con i miei auguri allego uno scritto singolare, non tanto per i contenuti che penso apprezzerai, ma per l'autore di questo scritto, Jean Paul Sartre. La capacità di porsi davanti al mistero dell'Incarnazione e trarne considerazioni  così profonde e originali mi aiuta a capire come i racconti della natività trasmessici dai Vangeli, materializzati poi dalla tradizione popolare nel "presepe", siano uno specchio attraverso cui, chiunque che vi si ponga davanti con sincerità può scoprire qualcosa di misterioso e divino, ma allo stesso tempo umano e affascinante e sfida la mia fede a crescere e a vivere questo Natale in modo non superficiale.  AUGURI .

Estratto di “Bariona o il gioco del dolore e della speranza. Racconto di Natale per cristiani e non credenti”, edito da Christian Marinotti Edizioni (XXXVI-130 pp., 16 euro, nuova edizione 2019).


Premessa:

Nel giugno 1940 Sartre, a causa della disfatta dell’esercito francese, viene fatto prigioniero dai tedeschi. In agosto viene trasferito in Germania, nel campo di prigionia di Treviri, dove rimarrà fino all’aprile del 1941. L’esperienza della solidarietà tra prigionieri lo toglierà dalla sua solitudine, dal disprezzo del mondo. Vivrà in quell’esperienza, la luce nelle tenebre. E sarà proprio quella piccola scintilla a indurlo a scrivere Bariona. In quel campo di priogionia, conosce alcuni sacerdoti, tra cui l’abate Marius Perrin, con cui si lega d’amicizia. Proprio in questo contesto, nasce l’idea di un lavoro teatrale che Sartre scrive in occasione del Natale 1940.

Nelle sue linee essenziali il lavoro mette in scena la storia di un capovillaggio ebreo, Bariona, che, di fronte all’ordine del procuratore romano di aumentare le imposte, accetta il pagamento chiedendo però agli abitanti del luogo di non fare più figli. Roma potrà esercitare il suo potere solo sul deserto. Nel suo imperativo suicida Bariona non sa ancora che sua moglie Sara è in attesa di un figlio.

La scoperta, drammatica, non lo fa desistere dalla scelta, scelta a cui la consorte si oppone. È in questo quadro che Bariona viene informato dai pastori della nascita del Messia in una stalla di Betlemme; una notizia, questa, che ai suoi occhi ha il sapore di una grande illusione, di un inganno. Il capo ebreo medita in cuor suo di uccidere il bambino, di sopprimere questa vuota speranza. Giunto a Betlemme vi trova Sara e, presso la capanna, una folla inginocchiata, commossa e felice. Sorpreso, desiste dal suo proposito e, alla notizia che Erode vuol ammazzare Gesù, raduna i suoi, raccoglie le armi, e, consapevole di andare a morire, va incontro agli sgherri del re.

 

La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano.

Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è cosi forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un terrore religioso per questo Dio silenzioso, per questo bambino incomprensibile.

Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei.

Ma nessun bambino è stato più inesorabilmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci siano anche altri momenti, improvvisi e pieni di stupore, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio.

Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria.

E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di sé stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarlo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicina a Dio. Poiché Dio irruppe con la forza di una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono uniti, ma anche separati da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare. Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia. ...



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