TOLLERANZA E INTOLLERANZA (II)
(segue dal 29.V.07)
Per capire quanto valga nella pratica il confronto libero su opinioni diverse, cavallo di battaglia di tanti dottori della laicità, è illuminante la chiara prosa di Carlo Flamigni: «Se la scienza opera in favore dell’interesse della società e del suo sviluppo, non si può certo affidare il suo controllo alle religioni che esprimono un’etica ossificata, colma di pregiudizi, incapace di adattarsi al nuovo, ancora indaffarata nell’interpretazione di antichi libri polverizzati dal tempo. È invece necessario affidare il rapporto tra scienza e morale ad un’etica non dogmatica, in grado di adattarsi rapidamente al nuovo e di riconoscere gli elementi di mistificazione e di rischio, e soprattutto di non inchiodare la società sulla croce di un concetto antistorico di natura. In altri termini, a un’etica laica».e ormai «tutte le leggi stupide e le proibizioni assurde che le morali tradizionali hanno cercato di imporre alla società sono state rimosse in modo atraumatico» (C. Flamigni, «La morale vince le leggi stupide», in La Stampa, 1º aprile 2006). L’autore è membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Libero confronto? Dialogo?
Come abbiamo detto, gli attacchi massicci alla Chiesa, alla sua dottrina e ai suoi uomini e istituti, suscitano stupore perfino in intellettuali notoriamente agnostici. È in atto un pregiudiziale atteggiamento di contestazione e di rifiuto dei valori della religiosità. Ed è altresì in atto un violento rifiuto di prendere anche soltanto in esame le proposte provenienti dal mondo cattolico per risolvere o almeno lumeggiare i grandi problemi dell’uomo e della società. In modo particolare, è sistematicamente destituita di valore e dichiarata immeritevole di attenzione ogni soluzione proposta dal Magistero della Chiesa. Anni fa, durante un’intervista concessa al quotidiano tedesco Die Welt, l’allora card. Ratzinger denunciava la «dittatura mediatica anticristiana» che non perseguita apertamente i cristiani, ma li emargina come fossero fondamentalisti e, chiamando intollerante la fede, mostra il suo volto di «intolleranza dei “tolleranti”».
Quali sono le cause immediate di questo fenomeno? In Italia e in Europa, alcuni osservatori parlano del degrado estremo al quale sarebbe giunta la secolarizzazione venendo a coincidere, nelle sue manifestazioni, con il vecchio liberalismo ottocentesco che pareva ormai soltanto «un simpatico residuo storico» (M. Olivetti, «Europa effetto Zappatero», in Avvenire, 24 maggio 2006). Altri, parlando della situazione italiana, pensando che esista un’ipersensibilità laica alle forti convinzioni e alle rivendicazioni decise della propria identità. Convinzioni e rivendicazioni che, con la loro schiettezza, sono viste dal mondo laico come lesive del pluralismo e della aconfessionalità dello Stato. Altri ancora notano che quella ipersensibilità potrebbe dipendere dal fatto che laici sanno bene che, quando si parla in Italia della Chiesa cattolica, non si parla affatto di una minoranza come essi si affannano a sottolineare in lungo e in largo.
Resta comunque la fastidiosa impressione che laici si sentano portatori di una specificità che li rende superiori agli «altri». Una supponente autocoscienza che, da un lato, li vede in prima linea quando si tratta di affermare il principio che nessuno può essere messo al bando per le proprie idee e, dall’altro, li muove, per uno strutturale a priori, ad avversare sempre e dovunque tutto ciò che emana dal mondo religioso e cattolico, quasi che i cattolici siano cittadini di second’ordine per la cultura che professano. Claudio Magri ha richiamato in proposito la lezione di Lessing nel dramma Nathan der Weise, che è il manifesto poetico della tolleranza religiosa e della coscienza laica. L’umanesimo laico, che combatte il fanatismo e l’intolleranza delle religioni, rispetta le idee degli altri, dubita della proprie certezze e sa di non essere mai detentore di certezze definitive. «Laicità non è un contenuto ma un modo di pensiero», attento alle scelte morali, e ha poco o nulla da spartire con il laicismo indifferente a quelle scelte, ideologicamente asservito al potere, «una classe indistinta che si è aggiornata passando dal cinema parrocchiale allo strip-tease, obbedendo a un conformismo altrettanto obbligato e gregario» (C. Magris, «il segno del vero laicismo», in Itaca e oltre, Milano, Garzanti, 1982, 257 s).
L’intolleranza laica si appunta principalmente contro l’azione educativa e chiarificatrice del Magistero della Chiesa. Abbiamo ascoltato, alcuni mesi orsono, l’on. Marco Rizzo affermare che Benedetto XVI, che aveva parlato di etica familiare cristiana, «deve farsi gli affari suoi e attenersi al principio della libera Chiesa in libero Stato» (cfr P. Granzotto, «L’amore debole che il papa non può giustificare», in il Giornale, 20 maggio 2006). È la solita accusa al Magistero di interferenza nella legislazione e nella politica italiana. Vediamo come stanno in realtà le cose da parte della Chiesa e da parte dello Stato.
La Chiesa rivendica a sé «il diritto di predicare con vera libertà la fede, esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomini e dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E questo farà, utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni» (Gaudium et spes, n. 76 d). Dal canto suo, la Costituzione della Repubblica recita all’art. 21:«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Tutti, senza distinzione tra cittadini ed ecclesiastici, tra individui e gruppi sociali, tra credenti e non credenti, tra i sostenitori di questa o di quella dottrina politica. Il Nuovo Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, stipulato il 18 febbraio 1984, così recita all’art. 2, comma 1: «La Repubblica riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caricativa. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico servizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale». E al comma 3: «È garantita ai cattolici e alle loro associazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Conclude Giuseppe Dalla Torre: «La libertà del magistero non lede la laicità dello Stato ma integra, nel pluralismo, il dibattito democratico. Col suo insegnamento la Chiesa contribuisce a nutrire la società dei valori etici di cui una democrazia ha bisogno ma che lo Stato non può dare, altrimenti diverrebbe uno Stato etico. Ma ciò, come storia insegna, significherebbe negazione della laicità e degenerazione della democrazia» (G. Dalla Torre, «Tutti oggi parlano, solo la Chiesa deve tacere», in Avvenire, 19 maggio 2006). Stando così le cose, viene il sospetto che Lévy abbia ragione quando parla di campagna anticattolica e, rimanendo in Italia, che si voglia interdire soltanto alla Chiesa di esprimersi, scatenando uno scontro frontale, nullificando lo stesso dettato della Costituzione, e ciò per neutralizzare surrettiziamente la sua influenza autorevole sui temi etico-civili e della moralità sessuale e familiare.
(CONTINUA)
Fonte: La Civiltà Cattolica 2006
Per capire quanto valga nella pratica il confronto libero su opinioni diverse, cavallo di battaglia di tanti dottori della laicità, è illuminante la chiara prosa di Carlo Flamigni: «Se la scienza opera in favore dell’interesse della società e del suo sviluppo, non si può certo affidare il suo controllo alle religioni che esprimono un’etica ossificata, colma di pregiudizi, incapace di adattarsi al nuovo, ancora indaffarata nell’interpretazione di antichi libri polverizzati dal tempo. È invece necessario affidare il rapporto tra scienza e morale ad un’etica non dogmatica, in grado di adattarsi rapidamente al nuovo e di riconoscere gli elementi di mistificazione e di rischio, e soprattutto di non inchiodare la società sulla croce di un concetto antistorico di natura. In altri termini, a un’etica laica».e ormai «tutte le leggi stupide e le proibizioni assurde che le morali tradizionali hanno cercato di imporre alla società sono state rimosse in modo atraumatico» (C. Flamigni, «La morale vince le leggi stupide», in La Stampa, 1º aprile 2006). L’autore è membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Libero confronto? Dialogo?
Come abbiamo detto, gli attacchi massicci alla Chiesa, alla sua dottrina e ai suoi uomini e istituti, suscitano stupore perfino in intellettuali notoriamente agnostici. È in atto un pregiudiziale atteggiamento di contestazione e di rifiuto dei valori della religiosità. Ed è altresì in atto un violento rifiuto di prendere anche soltanto in esame le proposte provenienti dal mondo cattolico per risolvere o almeno lumeggiare i grandi problemi dell’uomo e della società. In modo particolare, è sistematicamente destituita di valore e dichiarata immeritevole di attenzione ogni soluzione proposta dal Magistero della Chiesa. Anni fa, durante un’intervista concessa al quotidiano tedesco Die Welt, l’allora card. Ratzinger denunciava la «dittatura mediatica anticristiana» che non perseguita apertamente i cristiani, ma li emargina come fossero fondamentalisti e, chiamando intollerante la fede, mostra il suo volto di «intolleranza dei “tolleranti”».
Quali sono le cause immediate di questo fenomeno? In Italia e in Europa, alcuni osservatori parlano del degrado estremo al quale sarebbe giunta la secolarizzazione venendo a coincidere, nelle sue manifestazioni, con il vecchio liberalismo ottocentesco che pareva ormai soltanto «un simpatico residuo storico» (M. Olivetti, «Europa effetto Zappatero», in Avvenire, 24 maggio 2006). Altri, parlando della situazione italiana, pensando che esista un’ipersensibilità laica alle forti convinzioni e alle rivendicazioni decise della propria identità. Convinzioni e rivendicazioni che, con la loro schiettezza, sono viste dal mondo laico come lesive del pluralismo e della aconfessionalità dello Stato. Altri ancora notano che quella ipersensibilità potrebbe dipendere dal fatto che laici sanno bene che, quando si parla in Italia della Chiesa cattolica, non si parla affatto di una minoranza come essi si affannano a sottolineare in lungo e in largo.
Resta comunque la fastidiosa impressione che laici si sentano portatori di una specificità che li rende superiori agli «altri». Una supponente autocoscienza che, da un lato, li vede in prima linea quando si tratta di affermare il principio che nessuno può essere messo al bando per le proprie idee e, dall’altro, li muove, per uno strutturale a priori, ad avversare sempre e dovunque tutto ciò che emana dal mondo religioso e cattolico, quasi che i cattolici siano cittadini di second’ordine per la cultura che professano. Claudio Magri ha richiamato in proposito la lezione di Lessing nel dramma Nathan der Weise, che è il manifesto poetico della tolleranza religiosa e della coscienza laica. L’umanesimo laico, che combatte il fanatismo e l’intolleranza delle religioni, rispetta le idee degli altri, dubita della proprie certezze e sa di non essere mai detentore di certezze definitive. «Laicità non è un contenuto ma un modo di pensiero», attento alle scelte morali, e ha poco o nulla da spartire con il laicismo indifferente a quelle scelte, ideologicamente asservito al potere, «una classe indistinta che si è aggiornata passando dal cinema parrocchiale allo strip-tease, obbedendo a un conformismo altrettanto obbligato e gregario» (C. Magris, «il segno del vero laicismo», in Itaca e oltre, Milano, Garzanti, 1982, 257 s).
L’intolleranza laica si appunta principalmente contro l’azione educativa e chiarificatrice del Magistero della Chiesa. Abbiamo ascoltato, alcuni mesi orsono, l’on. Marco Rizzo affermare che Benedetto XVI, che aveva parlato di etica familiare cristiana, «deve farsi gli affari suoi e attenersi al principio della libera Chiesa in libero Stato» (cfr P. Granzotto, «L’amore debole che il papa non può giustificare», in il Giornale, 20 maggio 2006). È la solita accusa al Magistero di interferenza nella legislazione e nella politica italiana. Vediamo come stanno in realtà le cose da parte della Chiesa e da parte dello Stato.
La Chiesa rivendica a sé «il diritto di predicare con vera libertà la fede, esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomini e dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E questo farà, utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni» (Gaudium et spes, n. 76 d). Dal canto suo, la Costituzione della Repubblica recita all’art. 21:«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Tutti, senza distinzione tra cittadini ed ecclesiastici, tra individui e gruppi sociali, tra credenti e non credenti, tra i sostenitori di questa o di quella dottrina politica. Il Nuovo Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, stipulato il 18 febbraio 1984, così recita all’art. 2, comma 1: «La Repubblica riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caricativa. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico servizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale». E al comma 3: «È garantita ai cattolici e alle loro associazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Conclude Giuseppe Dalla Torre: «La libertà del magistero non lede la laicità dello Stato ma integra, nel pluralismo, il dibattito democratico. Col suo insegnamento la Chiesa contribuisce a nutrire la società dei valori etici di cui una democrazia ha bisogno ma che lo Stato non può dare, altrimenti diverrebbe uno Stato etico. Ma ciò, come storia insegna, significherebbe negazione della laicità e degenerazione della democrazia» (G. Dalla Torre, «Tutti oggi parlano, solo la Chiesa deve tacere», in Avvenire, 19 maggio 2006). Stando così le cose, viene il sospetto che Lévy abbia ragione quando parla di campagna anticattolica e, rimanendo in Italia, che si voglia interdire soltanto alla Chiesa di esprimersi, scatenando uno scontro frontale, nullificando lo stesso dettato della Costituzione, e ciò per neutralizzare surrettiziamente la sua influenza autorevole sui temi etico-civili e della moralità sessuale e familiare.
(CONTINUA)
Fonte: La Civiltà Cattolica 2006
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