TOLLERANZA E INTOLLERANZA (III)
(segue)
È perciò desiderabile che il mondo laico abbandoni il suo pregiudiziale dogmatismo. La Chiesa, da parte sua, lo ha già fatto, sia dichiarando che la sua gerarchia non ha una risposta pronta per qualsivoglia problema, sia apprezzando e ricevendo quanto di buono le è dato dalle realtà temporali. Ogni contenzioso cadrebbe se il mondo laico riconoscesse che la Chiesa invita continuamente a rispettare comuni e fondamentali valori umani e a prendere in considerazione le motivazioni evangeliche che essa trae dalla sua tradizione di fede e propone come un supplemento di umanità all’antropologia laica. Habermas, che pure viene da una tradizione diversa lo ha capito. Quando la Chiesa offre i suoi argomenti per contribuire alla difesa e alla promozione della dignità umana, trasmette un contributo prezioso per la conoscenza dell’uomo alla stessa cultura laica, specialmente se, con Bobbio e altri, si considera che per la democrazia esiste il pericolo che le vengono a mancare le sue motivazioni etiche.
Il Santo Padre si è espresso in tal senso sulla materia: «Una sana laicità dello Stato comporta senza dubbio che le realtà temporali si reggano secondo norme loro proprie, alle quali appartengono però anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo e pertanto rinviano in ultima analisi al Creatore. Nelle circostanze attuali, richiamando il valore che hanno per la vita non solo privata ma anche soprattutto pubblica alcuni fondamentali princìpi etici, radicati nella grande eredità cristiana dell’Europa e in particolare dell’Italia, non commettiamo dunque alcuna violazione della laicità della Stato, ma contribuiamo piuttosto a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società» («Discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale Italiana riuniti per la 56a Assemblea Genrale», in Oss. Rom., 19 maggio 2005).
Come abbiamo detto, sono passati soltanto poche anni da quando l’allora card. Ratzinger coniò la formula «dittatura mediatica» per descrivere il fenomeno dell’intolleranza laica anticristiana sostenuta e amplificata dai mezzi di comunicazione di mass. Il pensiero va spontaneamente ai libelli e ai film che veicolano una forma anche laicamente deviata di secolarizzazione e l’aperto disprezzo del cristianesimo e della storia. Sotto queste espressioni di malintesa libertà si nasconde il prolungamento della vasta operazione culturale e politica che nega le radici cristiane dell’Occidente? In ogni caso, è legittima la reazione dei cattolici che non assistono passivamente alle calunnie versate a piene mani sulla loro fede e reagiscono chiedendo alla società aperta e liberale, che celebra il pluralismo, di dare spazio e ascolto anche alle loro ragioni. Chiedendo soprattutto che le loro ragioni siano accolte e trattate con la tolleranza tipica della laicità, senza gli apriorismi gratuitamente offensivi del laicismo intollerante.
È stato giustamente notato che si sarebbe avuta una sollevazione a raggio mondiale se la campagna anticristiana fosse stata orchestrata contro la Shoàh o al Corano. Soltanto contro la fede della Chiesa è ritenuto legittimo l’esercizio regolare dell’intolleranza, di mancare cioè di rispetto, con l’ausilio di leggende esibite come argomenti storici, alle convinzioni, ai sentimenti, alle dottrine, alle speranze di una parte della popolazione, forse minoritaria, certo cospicua, dell’Italia e dell’Europa. È facile immaginare quel che sarebbe successo se, ad opera di cattolici, analoghe invenzioni fossero state escogitate per oltraggiare il ricordo di personaggi appartenenti proprio all’ambiente laico, per diminuirne il prestigio, per scalfirne il nome e disprezzarne il comportamento.
Ma laicismo e intolleranza non sono mali che affliggono la Chiesa soltanto dall’esterno. C’è per così dire, un «laicismo» interno ad essa, ed è la propaggine dell’osmosi esistente tra una certa parte del mondo cattolico e il laicismo della cultura dominante. Questo laicismo interno, che ha le sue manifestazioni di intolleranza ed è per sua natura più insidioso di quello che attacca la Chiesa dall’esterno, agisce sommessamente con l’esasperata demitizzazione dei testi fondati dalla fede cristiana, con la pratica dissoluzione della morale cristiana in nome di un cattolicesimo che si autodefinisce adulto, con l’intellettualizzazione di stampo «illuministico» della fede, che è sempre in se stessa un atto e un’esperienza di semplice abbandono. La volontà di ricerca e di dialogo non deve mai indebolire il monito che ai cattolici rivolge il Vaticano II riprendendo Agostino: «Ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle dubbie, in tutte carità» (Gaudium et spes, n. 92 b).
-FINE-
(tratto da La Civiltà Cattolica 2006 III pagg. 211-217)
È perciò desiderabile che il mondo laico abbandoni il suo pregiudiziale dogmatismo. La Chiesa, da parte sua, lo ha già fatto, sia dichiarando che la sua gerarchia non ha una risposta pronta per qualsivoglia problema, sia apprezzando e ricevendo quanto di buono le è dato dalle realtà temporali. Ogni contenzioso cadrebbe se il mondo laico riconoscesse che la Chiesa invita continuamente a rispettare comuni e fondamentali valori umani e a prendere in considerazione le motivazioni evangeliche che essa trae dalla sua tradizione di fede e propone come un supplemento di umanità all’antropologia laica. Habermas, che pure viene da una tradizione diversa lo ha capito. Quando la Chiesa offre i suoi argomenti per contribuire alla difesa e alla promozione della dignità umana, trasmette un contributo prezioso per la conoscenza dell’uomo alla stessa cultura laica, specialmente se, con Bobbio e altri, si considera che per la democrazia esiste il pericolo che le vengono a mancare le sue motivazioni etiche.
Il Santo Padre si è espresso in tal senso sulla materia: «Una sana laicità dello Stato comporta senza dubbio che le realtà temporali si reggano secondo norme loro proprie, alle quali appartengono però anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo e pertanto rinviano in ultima analisi al Creatore. Nelle circostanze attuali, richiamando il valore che hanno per la vita non solo privata ma anche soprattutto pubblica alcuni fondamentali princìpi etici, radicati nella grande eredità cristiana dell’Europa e in particolare dell’Italia, non commettiamo dunque alcuna violazione della laicità della Stato, ma contribuiamo piuttosto a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società» («Discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale Italiana riuniti per la 56a Assemblea Genrale», in Oss. Rom., 19 maggio 2005).
Come abbiamo detto, sono passati soltanto poche anni da quando l’allora card. Ratzinger coniò la formula «dittatura mediatica» per descrivere il fenomeno dell’intolleranza laica anticristiana sostenuta e amplificata dai mezzi di comunicazione di mass. Il pensiero va spontaneamente ai libelli e ai film che veicolano una forma anche laicamente deviata di secolarizzazione e l’aperto disprezzo del cristianesimo e della storia. Sotto queste espressioni di malintesa libertà si nasconde il prolungamento della vasta operazione culturale e politica che nega le radici cristiane dell’Occidente? In ogni caso, è legittima la reazione dei cattolici che non assistono passivamente alle calunnie versate a piene mani sulla loro fede e reagiscono chiedendo alla società aperta e liberale, che celebra il pluralismo, di dare spazio e ascolto anche alle loro ragioni. Chiedendo soprattutto che le loro ragioni siano accolte e trattate con la tolleranza tipica della laicità, senza gli apriorismi gratuitamente offensivi del laicismo intollerante.
È stato giustamente notato che si sarebbe avuta una sollevazione a raggio mondiale se la campagna anticristiana fosse stata orchestrata contro la Shoàh o al Corano. Soltanto contro la fede della Chiesa è ritenuto legittimo l’esercizio regolare dell’intolleranza, di mancare cioè di rispetto, con l’ausilio di leggende esibite come argomenti storici, alle convinzioni, ai sentimenti, alle dottrine, alle speranze di una parte della popolazione, forse minoritaria, certo cospicua, dell’Italia e dell’Europa. È facile immaginare quel che sarebbe successo se, ad opera di cattolici, analoghe invenzioni fossero state escogitate per oltraggiare il ricordo di personaggi appartenenti proprio all’ambiente laico, per diminuirne il prestigio, per scalfirne il nome e disprezzarne il comportamento.
Ma laicismo e intolleranza non sono mali che affliggono la Chiesa soltanto dall’esterno. C’è per così dire, un «laicismo» interno ad essa, ed è la propaggine dell’osmosi esistente tra una certa parte del mondo cattolico e il laicismo della cultura dominante. Questo laicismo interno, che ha le sue manifestazioni di intolleranza ed è per sua natura più insidioso di quello che attacca la Chiesa dall’esterno, agisce sommessamente con l’esasperata demitizzazione dei testi fondati dalla fede cristiana, con la pratica dissoluzione della morale cristiana in nome di un cattolicesimo che si autodefinisce adulto, con l’intellettualizzazione di stampo «illuministico» della fede, che è sempre in se stessa un atto e un’esperienza di semplice abbandono. La volontà di ricerca e di dialogo non deve mai indebolire il monito che ai cattolici rivolge il Vaticano II riprendendo Agostino: «Ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle dubbie, in tutte carità» (Gaudium et spes, n. 92 b).
-FINE-
(tratto da La Civiltà Cattolica 2006 III pagg. 211-217)
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