AMORIS LAETITIA. CAP. IV/2 (dal numero 95 al numero 108)
Amoris laetitia, capitolo IV/2 (dal numero 95 al n. 108)
Continuiamo a ripercorrere l'Esortazione Apostolica, in particolare il capitolo IV che ci illustra le potenzialità "dell'amore nel matrimonio" e ci aiuta a coglierne tutta la ricchezza, facendoci scoprire le sfumature, negative o positive che l'amore può assumere.
In corsivo i riferimenti al testo del documento.
la carità non è invidiosa
Tutti riteniamo di essere persone che "sanno amare", ma allo stesso tempo ci rendiamo conto di avere sentimenti negativi, come l'invidia.
Cos'è l'invidia?
(AL 95) è una tristezza per il bene altrui che dimostra che non ci interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere.
L’invidia minaccia la benevolenza.
Non si vanta. Non si gonfia d’orgoglio
L’invidia mi fa odiare l’altro perché lo vedo migliore di me. Un sentimento che può insinuarsi nei riguardi di chiunque (coniuge, figli, fratelli, amici, colleghi, ecc...).
Nella vanità, c’è il pericolo opposto: mi ritengo tanto superiore all’altro, che tendo a disprezzarlo, e quindi il mio rapporto con lui è di condiscendenza, di poca stima, ecc...
(AL 98) Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore. Vale anche per la famiglia questo consiglio: «Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1 Pt 5,5)
Se tratto bene le persone, le so prendere per il loro verso, mi metto nei loro panni, non li “manipolo” per "utilizzarle", queste persone (moglie, figli, ecc.) mi vorranno bene. Si sentiranno comprese e a loro aggio. Questa è "amabilità"
Questo non è possibile quando regna il pessimismo e l'antipatia, che mettono in rilievo i difetti e gli errori altrui, forse per compensare i propri complessi.
Possiamo arrivare a pensare che “è un dovere”, che è necessario far così, che gli altri non possiamo che trattarli così!
Ma sarà vero? Abbiamo mai provato a fare un piccolo confronto di costi/ricavi. Abbiamo verificato la sincerità delle nostre intenzioni? Alle volte occorre “dire di no”, “precisare le cose”, ma come lo faccio? Con amabilità e comprensione, o in modo sgarbato e intransigente?
(AL 99) Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano.
Amare sé stessi/morire a sé stessi. (p. 101-102):
(AL 101) bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri.
San Tommaso D'Aquino spiega che è più proprio della carità "voler amare e servire, piuttosto che voler essere amato".
senza violenza interiore (pp. 103-104)
Alle volte proviamo un'’irritazione interiore che mal ci dispone verso gli altri in determinate circostanze. Spesso non sappiamo perché:
(AL 104) Una cosa è sentire la forza dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che diventi un atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26).
Questa irritazione va curata, se no ci porta ad essere rancorosi a “tener conto del male”. La cura è il perdono, che non è un atto esterno che cade dall’alto, ma è una conquista interiore positiva che ci porta a discolpare, comprendere, cercare scuse per gli altri.
Il contrario è la “paranoia”, quel meccanismo che ci porta a vedere nemici, complotti, cattive intenzioni, e fa aumentare il risentimento. Ci può far ammalare!
Evitare di enfatizzare e sottolineare ogni errore o svarione degli altri.
(AL 105) Il problema è che a volte si attribuisce ad ogni cosa la medesima gravità, con il rischio di diventare crudeli per qualsiasi errore dell’altro.
Molto importante: per imparare a perdonare e scusare, ci vuole spirito di sacrificio e passare attraverso la purificazione di “perdonare noi stessi” e “saperci perdonati”:
(AL 107): per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali. Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso sollievo. C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri.
Fare l’esperienza della misericordia e del perdono di Dio. C’è un amore “previo” che ci viene incontro.
(AL 108): Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi.
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