AVVENTO MERCOLEDÍ DELLA PRIMA SETTIMANA.

 



Con la sua venuta il Signore dimostra il suo amore verso di noi

Non voglio dire di più in questa prima domenica di Avvento in cui cominciamo a contare i giorni che ci avvicinano alla nascita del Salvatore. Abbiamo visto che cos'è la vocazione cristiana; abbiamo visto che il Signore ha fatto affidamento su di noi per portare anime alla santità, per avvicinarle a Sé, unirle alla Chiesa ed estendere il regno di Dio in tutti i cuori. Il Signore ci vuole disposti a donarci, fedeli, sensibili, innamorati. Ci vuole santi, totalmente suoi.

Aprite gli occhi — abbiamo letto nel Vangelo — e levate il capo, perché la vostra redenzione è vicina (Lc 21, 28). Il tempo di Avvento è tempo di speranza. Tutto il panorama della vocazione cristiana, quell'unità di vita che ha come nerbo la presenza di Dio, nostro padre, può e deve divenire una realtà quotidiana. (É Gesù che passa, 11)

«Vieni, Signore, non tardare» (Liturgia delle Ore, mercoledì della I settimana di Avvento, ora nona, responsorio breve). In questi giorni la preghiera della Chiesa è piena del desiderio della venuta di Cristo, il Messia atteso, il nostro Redentore. Ecco che il Signore verrà a salvare il suo popolo; beati coloro che sono pronti per andare incontro al Signore (cfr. Zc 14, 5). Per lunghi secoli la speranza degli uomini ha atteso la venuta del Redentore. Vedendo ora così vicino il mistero della sua nascita, vogliamo riempirci del desiderio di andare incontro al Signore con la medesima speranza.

Con l’incarnazione del suo Figlio unigenito Dio ci ha mostrato il suo amore infinito: «Quale è la causa della venuta del Signore, se non mostrare il suo amore verso di noi?» (Sant’Agostino, De catechizandis rudibus, n. 4). E si tratta di un amore di Padre, perché lo ha fatto «perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 5).

Il Signore viene sulla terra per colmarci di grazie: «Non ti chiedo ricompensa alcuna per quello che ti do – ci dice –, prima io stesso voglio essere tuo debitore, per il solo titolo che tu vuoi trarre beneficio da tutto ciò che è mio. Con che cosa si può paragonare questo onore? Io sono padre, io fratello, io sposo, io casa, io cibo, io vestito, io radice, io fondamento; tutto quel che tu vuoi sono io; non ti considerare bisognoso di cosa alcuna. Perfino ti servirò, perché il Figlio dell’uomo “non è venuto per farsi servire, ma per servire” (Mt 20, 28). Io sono amico, e membro e testa, e fratello e sorella e madre; tutto sono io, e con te voglio soltanto intimità. Io, povero per te, mendicante per te, crocifisso per te, sepolto per te; in cielo, per te davanti a Dio Padre; e sulla terra sono suo legato davanti a te. Tutto tu sei per me: fratello e coerede, amico e membro. Che cosa vuoi di più?»(San Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di san Matteo, n. 76.).

Tutta la vita di Gesù è una genuina espressione di questo amore senza limiti, della sua donazione per noi. Coloro che si avvicinarono a Gesù ne ebbero abbondanti prove. Il vangelo di oggi ci parla di una folla che si reca da Gesù per presentargli le sue necessità: «Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì» (Mt 15, 29-30). Nessuna delle nostre necessità lascia indifferente Gesù. Tutto ciò che ci appartiene è un continuo richiamo al suo cuore; le nostre gioie e le nostre preoccupazioni lo spingono a venirci incontro.

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